Le scuole indigene nelle colonie

da L’Oltremare, Anno V, Ottobre 1931-IX, n. 10 – di Massimo Adolfo Vitale

bertiglia_scuole_colonialiFra i varii problemi che maggiormente interessano le Colonie nostre, quello della educazione scolastica degli indigeni è sicuramente uno dei più importanti e dei più difficili. Non sono rari i coloniali che per lunga, personale esperienza fatta vivendo veramente a contatto cogli indigeni, avendone conosciuto l’animo e la mentalità, siano incerti nel giudicare se l’istruzione intesa nel senso «nostro» della parola, sia o meno un vantaggio, e per i colonizzatori e per la maggioranza delle popolazioni africane, specialmente per quelle lontane dalle coste, e meno a contatto cogli Europei. Ma in nome della civiltà, l’istruzione degli indigeni è ormai un principio sancito, onde da lungo tempo molteplici cure sono state e sono poste a tale fine, con risultati però non sempre troppo lusinghieri.
La vastità dei territorii formanti gli Imperi Africani della Inghilterra e della Francia, il numero delle popolazioni soggette, e, particolarmente per la Francia stessa, la collaborazione che essa è costretta a richiedere ai suoi sudditi indigeni, pongono l’importante problema in una particolare luce, e gli danno una particolare forma, con conseguenze diverse e più complicate necessità. Per il nostro modesto dominio coloniale, invece, la cosa è più semplice, ma occorre sia studiata nella forma capace di maggiore, pratica utilità.

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Fra le Colonie ltaliane, la Tripolitania, per la vicinanza alla Madre Patria, per le particolari possibilità di sviluppo in relazione sopratutto al più avanzato stato di civiltà dei suoi abitatori (in gran parte non più nomadi, dediti alla pastorizia, ma anche agricoltori, e viventi in villaggi con costruzioni di pietre e calce) è quella che ha dato un più vivo sviluppo al problema dello insegnamento indigeno. Il numero delle scuole Italo-Arabe, colà esistenti prima del 1915, era di 12 (mentre altre 6 erano prossime a venire aperte) con un numero complessivo di 600 alunni.

1930_libro_scolastisco_fascismoOggi le scuole di tale tipo (senza contare quella di arti e mestieri) sono 30, con ben 3.523 alunni, cui si deve aggiungere la ragguardevole cifra di 8.548 alunni che frequentano le scuole Arabe, tenute nelle Zavie, e nei villaggi, da maestri indigeni, che si limitano allo insegnamento della lettura e della scrittura del Corano, ed a fare apprendere a memoria brani del Corano stesso. Questi risultati possono apparire soddisfacenti, considerando, sopratutto le difficoltà politiche e le vicende di guerra, che hanno accompagnato la nostra occupazione in quel territorio, sino a recentissima epoca. Ma all’occhio di chi per dovere d’ufficio, e per interesse di studioso, abbia avuta ed abbia occasione di seguire da vicino questo sviluppo scolastico, non può sfuggire una grave pecca che ad esso si accompagna: quella di aver curato più il numero che la qualità. La questione principale, del metodo da seguire nello insegnamento, è stata sino ad ora un poco trascurata.

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È mancata in gran parte la misura dello adattamento, della cultura da impartire, alle reali attitudini della mentalità indigena, e quindi non si è avuto negli allievi una larga assimilazione degli insegnamenti impartiti. Le nostre scuole non hanno potuto, nella maggioranza, adattarsi ai bisogni del Paese, e non hanno così avuto il metodo di mantenersi in completo accordo coll’ambiente famigliare e religioso del paese stesso. Deficienze gravi queste, dovute particolarmente alla quasi assoluta mancanza di maestri indigeni creati da noi, ed al fatto che parecchi maestri italiani sono nuovi alla vita coloniale, destinati in un mondo così diverso, senza alcuna idea della sua mentalità e delle sue necessità.
Ottime persone, nella maggioranza, dotate di eccellente volontà e di più che lodevole spirito di sacrificio, ma completamente lontane dalle idee e dagli insegnamenti «Italiani», e quindi impossibilitate ad ottenere dai loro allievi quei risultati che sarebbero non solo desiderabili, ma necessarii ai nostri fini di colonizzatori, anche quale giusto compenso al grave onere finanziario che le scuole portano ai bilanci coloniali. I programmi delle scuole Italiane, i libri, i quadri murali in uso in Italia, sono stati integralmente trasportati, sia nelle scuole della costa, che in quelle dell’interno, onde i risultati sono facili ad immaginarsi.

quaderno_scuola_fascismoRammento di avere seguito, con particolare attenzione, or sono due anni, lo svolgersi dell’insegnamento in varie scuole, della costa e dell’interno, di una regione che avevo l’onore di comandare. I migliori, allievi, orgoglio della intera classe, mi rispondevano con quella caratteristica precipitazione, propria di chi non capisce quasi nulla di ciò che dice, che: «Il Po nasce dal Monviso e si butta nel mare Adriatico»; che «La Sardegna è un’isola dell’Italia»; che «L’Etna è un vulcano nella Sicilia»; che «Le tombe di Casa Savoia sono a Superga presso Torino», e tante tante altre cose del genere! Gli esercizii di dettato, scelti dagli insegnanti in occasione di qualche mia visita d’ispezione, dicevano «…dello olezzo della violetta, modesta fra i fiori…»; narravano di un fanciullo che esprimeva la sua adorazione per un bel gattino, al quale usava fare il bagno, ponendogli dopo intorno al collo un bel nastro colorato, e, in una classe superiore scolpivano nelle menti di quei fanciulli Arabi ed Ebrei dell’inteno della Tripolitania, il fiero evento della «…morte di Annibale»!

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In una prova di esami, compiutasi pochi giorni dopo la visita in quella sede di S. E. il Governatore, il tema dato fu di comporre una lettera ad un amico per narrargli tale visita. E quasi tutti gli scolari manifestarono la maggiore impressione riportatane, accennando particolarmente… al suono della sirena di un piccolo stabilimento industriale del luogo, che per l’arrivo del Governatore si era fatto ripetutamente sentire!!! Ripeto, sono fatti questi, di cui fui testimonio oculare!
Quei bravi maestri hanno così spese tutte le loro fatiche, e tutta la loro volenterosità, in una opera inutile, per mancanza di conoscenza dell’anima indigena. È ovvio rilevare come l’intrattenersi sull’olezzo dei fiori, il fare il bagno ad un gatto, lo scrivere ad un amico per narrargli la visita di un Governatore, sono cose completamente fuori della mentalità indigena. Esse appaiono ai più quali nostre puerili enormità, di cui non sanno darsi ragione, non concependo inoltre come si possa… perdere il tempo per scrivere ad un amico, al fine di narrargli che un personaggio è venuto in visita nel territorio! Generalmente l’indigeno non scrive ad un amico, ma va a cercarlo, anche se sta a grandissima distanza, quando un interesse lo spinga, e, in caso eccezionale, potrà anche scrivergli, ma sempre per un qualche interesse, per la restituzione di denari, di merci, di cereali, di bestiame. Questa mancanza di comprensione della mentalità indigena è l’errore di base del nostro insegnamento, cui viene meno anche il notevolissimo aiuto dato alle menti dei fanciulli, dalle figure, sia nei libri che nei quadri murali. Tali figure, che noi mostriamo eguali a quelle delle nostre scuole in Italia, rappresentanti costruzioni, oggetti, animali, piante, indumenti, che gli allievi indigeni non hanno mai veduto, e non hanno occasione né di veder e, né di adoperare, non servono che a rendere maggiore la confusione delle idee nelle loro giovani menti.

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È da rilevare inoltre, che il fatto del comprendere il significato di una immagine, come di una poesia o di una canzone nostra, è particolarmente difficile all’anima indigena, che soltanto con grande forzo riesce a considerarle astrattamente, mentre è portata a dar loro un significato di cosa reale, legata al normale svolgimento della vita. Rammento al riguardo, come recentemente, un giovane somalo, assai intelligente, già pratico in modo egregio della nostra lingua, dopo avere intesa ripetute volte al grammofono una canzoncina molto nota, ove è narrato di una mamma che trascurava la sua bambina, e non le regalava i balocchi che ella desiderava e, solo quando la bimba, gravemente ammalata, fu prossima a morire, si affrettò ad esaudire tale desiderio, mi chiese, colle lagrime agli occchi per la commozione riportata dalla storia pietosa : «Ma suo padre, cosa dire? Cosa fare?». È . .. giusto, se c’è una mamma ed una bimba, deve esserci anche un babbo!
Nelle altre Colonie nostre, in Cirenaica, le particolari condizioni politiche, e le conseguenti necessità militari, hanno impedito, fuori dei centri costieri, di dare al problema scolastico lo sviluppo che sarà possibile in futuro, quando le presenti difficoltà siano superate.
In Eritrea, per iniziativa di quel magnifico Governatore che fu, a ,suo tempo, S. E. De Martino, abbiamo le più complete ed eccellenti scuole di arti e mestieri, che impartiscono anche insegnamento culturale, e che da anni, licenziano esperti dattilografi, scritturali, stampatori, fabbri, falegnami, che, ovunque, e negli impieghi della Amministrazione, e presso privati, danno ottimi risultati. Ma si tratta di limitato insegnamento, che non può giovare alla generalità della massa della popolazione.

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somalia_scuola_regina_elenaIn Somalia, la vastità del territorio, la scarsità della popolazione, il nomadismo della popolazione stessa, il numero relativamente esiguo di grossi centri abitati, rendono particolarmente difficile nell’interno una sistemazione scolastica. Ma in ciascuna delle Colonie nostre, tale sistemazione si è iniziata, ed è oggetto di particolari cure ; occorre però correggerne gli errori, onde avere dei risultati veramente pratici. La questione è difficile, e richiederebbe una troppo lunga esposizione per poterla completamente trattare. Due cose, sopratutto appaiono oggi indispensabili. La creazione, in ciascuna colonia, di una scuola per maestri indigeni, retta da vecchi coloniali, che abbiano vera e completa conoscenza della mentalità, del costume, della religione, e possano quindi adattare l’insegnamento a quella che è la psiche dei futuri maestri.

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Serviranno questi per le prime scuole, ed il loro insegnamento sarà particolarmente profittevole, perché potranno impartirlo nella lingua nativa, e renderlo così infinitamente più comprensibile ai giovani allievi. Tali scuole primarie varranno per un grande numero di scolari, e generalizzeranno la più elementare opera di educazione; da esse saranno tratti quelli dotati di spiccate qualità intellettive, perché proseguano gli studii in scuole superiori. E dovranno tali allievi essere in piccolo numero, ma veramente scelti.
La formazione culturale dei maestri indigeni non è breve né semplice, ma è indispensabile, particolarmente per le scuole dell’interno della Eritrea e della Somalia, ove per molte varie ragioni è pressoché impossibile creare scuole del tipo libico. Per intanto, alcuno dei vecchi coloniali, tenuto dall’amore della terra d’Africa, compia per essa la più bella ed utile fatica per l’istruzione degli indigeni, e attinga dalla sua esperienza, la creazione di libri particolarmente adatti alla loro mentalità, con illustrazioni che ad essa si addicano.
Sarà questa la prima base del problema scolastico, inteso in senso veramente pratico e non soltanto a scopo statistico. Diversamente… quel giovane somalo che mi richiedeva del babbo della bambina morente, se dovrà aprire il suo intelletto, come i suoi fratelli di Libia, innanzi all’olezzo dei fiori, o alla morte di Annibale, resterà perplesso ancora per qualche secolo.

Si ringrazia Vito Zita per la trascrizione del testo

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