Niall Ferguson è uno scrittore di successo e docente ad Harvard, studioso in particolare degli imperialismi fratelli americano e britannico. I suoi lavori sono sempre interessanti perché mantengono la freschezza di una lezione agli studenti senza abbandonare mai un rigoroso approccio scientifico alla materia. Ma alla base del successo di Ferguson sta la sua capacità di andare controcorrente e di attaccare la religione del politicamente corretto, forte di fatti storicamente acclarati, anche su un argomento sensibile qual è il colonialismo europeo.
I suoi best-sellers riflettono infatti la visione europea, un tempo prevalente, che il colonialismo non fu certamente sterminio pianificato, fu sfruttamento ma anche sviluppo dei continenti africano e asiatico, e ha lasciato frutti avvelenati ma anche eredità sulle quali alcune ex colonie hanno saputo costruire una propria via allo sviluppo, mentre altre si sono infilate in una spirale di impoverimento, anarchia e violenza. Già questo basterebbe a scatenare un’epidemia di idrofobia in ampi settori del mondo accademico americano, particolarmente corrotto dalla visione dogmatica del politicamente corretto.
Convinto sostenitore dell’effetto benefico del dominio inglese sulle ex colonie (tesi centrale del suo Empire: How Britain Made the Modern World), Ferguson recupera la consapevolezza della radicale alterità dei colonialismi europei , che – almeno nei media – si stava perdendo, a profitto di una generica e superficiale condanna della storia su basi morali. In sintesi, le colonie europee venivano amministrate diversamente a seconda dei diversi obiettivi geopolitici e dei valori fondanti dei paesi europei.
Gli Inglesi, ad esempio, mantenevano un impero commerciale, difeso dalla più potente flotta di blue-waters, all’insegna del massimo profitto contro il minimo investimento, lasciando ampia autonomia ai territori di organizzarsi e non interferendo – fino a metà del XIX almeno – nelle libertà religiose delle colonie. Va tuttavia ricordato che i missionari cristiani, se agli occhi di un contemporaneo minacciavano la “libertà religiosa” delle colonie, sono stati essenziali nell’abolizione della schiavitù, praticata in Africa Centrale e Orientale fino alle soglie del XX secolo.
I Francesi tendevano alla metropolizzazione rapida degli altri popoli, trasferendo la loro visione attraverso un sistema di istruzione e di cure sanitarie aperto a tutti. Il rovescio della medaglia è che Algerini, Senegalesi, Ivoriani ecc., considerati parte della République, sono stati massicciamente impegnati nelle due guerre mondiali.
I Tedeschi tenevano colonie per ragioni di prestigio, ma soprattutto per esigenze di proiezione internazionale nel quadro della corsa agli armamenti con Inglesi, Russi, Francesi e Americani. Le loro colonie erano essenzialmente una rete di basi logistiche (cantieri navali e stazioni carbonifere) indispensabili a mantenere una presenza navale, soprattutto nel “lago” inglese, l’Oceano Indiano. Persino lo sterminio degli Hereno non va ricondotto a un genocidio scientifico, ma all’approccio tedesco alle minacce nelle retrovie, non molto dissimile dalle fucilazioni di civili in Belgio nel 1914-1918.
Casi particolari – che richiederebbero una trattazione articolata – sono quelli dei vecchi imperi spagnolo e portoghese e del dominio privato del re del Belgio in Congo, probabilmente l’unico caso in cui le atrocità contro i nativi furono pianificate ed eseguite in base alle direttive di un singolo, ma scatenarono una violenta reazione nell’opinione pubblica europea, tale da avviare un processo di radicale revisione dei sistemi di governo e di polizia in tutte le colonie europee.
E l’Italia? Con buona pace dei divulgatori nostrani, spesso pronti a sdraiarsi buoni ultimi sulle mode politicamente corrette, e sempre sufficientemente provinciali da trovare le colpe e mai i meriti della propria terra, fu tra tutti il più simile a quello francese, un modello fondato sull’integrazione e sullo sviluppo, possibile e necessario, delle colonie.
Sul tema ovviamente ritorneremo. Nel frattempo, chi può si legga Ferguson e i meriti – ben superiori alle colpe – dell’Impero Britannico.
di Ferdinando Ventriglia – © Tutti i diritti riservati
Pingback: La colonizzazione agricola nella Somalia italiana 1920/39 | L'ITALIA COLONIALE
esatto da studioso si scienze politiche e scienze storiche non posso che essere d’accordo
"Mi piace""Mi piace"