Ignazio Sanfilipppo un coraggioso esploratore scientifico nel deserto della Libia

Per quanto riguarda in particolare la Libia, nel quadro degli accordi diplomatici fra le varie Potenze Europee, l’Italia aveva assicurato la propria neutralità all’azione colonizzatrice di Francia ed Inghilterra rispettivamente in Marocco (e prima ancora in Tunisia) ed Egitto in contropartita del riconoscimento degli interessi del nostro paese su Tripolitania e Cirenaica, territori allora sotto la dominazione ottomana.
L’intervento in Libia è uno dei principali punti del programma del Governo Giolitti che però deve destreggiarsi fra opposizioni esterne ed interne. L’opinione pubblica è dibattuta fra le tesi dei nazionalisti, favorevoli all’espansionismo coloniale e appoggiati da gran parte della stampa nazionale, e quella di socialisti, repubblicani e radicali contrari alla conquista di quello che è definito uno “scatolone di sabbia”.
In realtà, fino a quel momento si ha solo una conoscenza approssimativa delle risorse naturali e del valore commerciale di quelle terre. Non esiste una carta geologica dettagliata di quei posti dei quali si hanno solo notizie incerte e lacunose, frutto di corrispondenze di viaggiatori che avevano effettuato ricognizioni scarsamente documentate. Per valutare la convenienza della conquista coloniale occorre quindi giungere a risultati scientifici definitivi circa la natura dei terreni accertando, fra l’altro, l’effettiva esistenza delle favoleggiate ricchezze minerarie di quelle regioni ed in particolare dei vastissimi giacimenti di zolfo, addirittura a cielo aperto, che alcuni viaggiatori riferiscono di aver visitato nel corso delle loro escursioni libiche.

Il primo ostacolo da superare è l’avversità mostrata dal governo turco all’azione commerciale italiana ed in particolare alla c.d. penetrazione pacifica attuata dal Banco di Roma, longa manus del Governo che, su sollecitazione dello stesso, ha aperto succursali a Tripoli e Bengasi con l’intento di coniugare motivazioni economiche e commerciali con esigenze diplomatiche. Artefice di questa manovra è il Direttore della succursale di Tripoli della banca Enrico Bresciani, già “Funzionario di Stato in Eritrea”, che svolge abilmente il ruolo di agente segreto ed informatore politico in operazioni di intelligence disposte dal Governo. Egli è in possesso del cifrario del Consolato e può quindi accedere ai segreti di Stato.
Occorre agire con massima segretezza ed individuare la persona alla quale affidare il delicato compito di accertare l’esistenza delle presunte risorse minerarie. Tenuto conto che in quegli anni la Sicilia è leader mondiale nella produzione dello zolfo, è lì che la ricerca, effettuata congiuntamente dal Ministero degli Esteri e dal Banco di Roma, viene focalizzata. Il più importante gruppo imprenditoriale operante in quel momento nel settore estrattivo è la Société Générale des Soufres, società di diritto francese costituita con ingenti capitali a Parigi nel 1906 da Ignazio Florio ed altri imprenditori italo-francesi. La Société è proprietaria e/o concessionaria di una decina fra le più attive zolfare siciliane. Ha un giro d’affari annuo di 50.000 tonnellate di minerale e occupa circa 7.000 dipendenti. Direttore Generale Tecnico del gruppo è Ignazio Sanfilippo.

Inizia la sua professione di direttore di importanti miniere siciliane distinguendosi subito per abilità tecnica e per il suo costante sforzo diretto a migliorare e rendere meno pericolose le disumane condizioni di lavoro dei suoi zolfatari. La sua fama a poco a poco supera i confini regionali grazie anche ad una serie di invenzioni, fra le quali spicca un forno continuo per la fusione dello zolfo, denominato appunto “Forno Sanfilippo”.
Le ricerche avviate per via diplomatica identificano quindi nel Sanfilippo la persona in possesso di qualità come competenza, affidabilità e coraggio adatte all’impresa. L’incarico che gli è affidato dal Ministero degli Esteri è finanziato dal Banco di Roma e gestito segretamente dalla succursale di Tripoli di quella banca unitamente al Consolato Italiano di Tripoli.
Ignazio Sanfilippo giunge a Tripoli il 23 giugno 1910 ufficialmente per svolgere una esplorazione agronomica. Lo scopo reale della missione è tenuto segreto alle autorità turche.
A conclusione del suo breve viaggio, presenta sia al Ministro degli Esteri, che al Banco di Roma una relazione riservata nella quale conclude che dai rilevamenti effettuati in superficie, pur non avendo potuto effettuare alcun sondaggio o prelievo di campioni minerali, sono stati accertati indizi che giustificherebbero un approfondimento delle ricerche.

Questa seconda esplorazione scientifica però è ostacolata dall’ufficiale di scorta su ovvio mandato delle autorità turche che, fra l’altro, impedisce che vengano effettuati scavi oltre i 20 centimetri di profondità, autorizzando solo il prelievo di campioni di rocce in superficie. Le proteste del Capo Missione riescono a mitigare l’ostruzionismo turco ma non ad eliminare tutte le interferenze.
L’epilogo drammatico si verifica alla fine di settembre quando l’Italia dichiara guerra alla Turchia e la flotta italiana cannoneggia Tripoli. Nelle fasi concitate dell’evacuazione della comunità italiana, inspiegabilmente sia Bresciani che il Vice Console Galli “dimenticano” di avvertire la Missione per farla rientrare in tempo a Tripoli e metterla in salvo. Una strana dimenticanza se si considera che fino a quel momento la Missione era stata assistita in modo impeccabile con l’invio di puntuali approvvigionamenti ivi incluso perfino il brandy per le freddi notti nel deserto e l’anice per rendere più gradevole il gusto di un’acqua non sempre limpida. Che ci sia stata la volontà di provocare un casus belli per meglio giustificare l’intervento armato e ammorbidire le opposizioni? I cinque componenti italiani della Missione sono fatti prigionieri a Sokna il 1° ottobre del 1911 e successivamente vengono trasferiti in altre prigioni sempre più lontane dalla linea del fronte fino a raggiungere il “mare di sabbia” di Murzuk.

L’opinione pubblica italiana segue con apprensione la sorte dei prigionieri ai quali nel frattempo sono stati aggregati due piloti italiani fatti prigionieri dall’esercito turco: il capitano Riccardo Moizo, catturato dopo un atterraggio di emergenza del suo aereo dietro le linee nemiche ed il Tenente Anacleto Capelli ferito in battaglia ad un braccio. Nel frattempo la diplomazia italiana si adopera febbrilmente per la liberazione degli ostaggi e le trattative trovano finalmente uno sbocco nel settembre 1912 con un accordo sullo scambio di prigionieri fra i due paesi belligeranti. L’accordo trova esecuzione dopo la firma del trattato di pace di Losanna del 18 ottobre 1912 che pone fine alla guerra italo-turca.
All’alba dell’11 novembre, dopo tredici mesi di prigionia, si conclude felicemente la lunga e dolorosa avventura e i nostri uomini possono ricevere il festoso abbraccio dei soldati italiani della postazione di Sidi Bilal ai quali vengono consegnati dai gendarmi turchi.
L’opinione pubblica nazionale gioisce alla notizia della liberazione. Tutti i giornali danno grande risalto alla notizia e sulla Domenica del Corriere il noto disegnatore Achille Beltrame dedica all’avvenimento una delle sue prestigiose tavole a pagina intera.

Una biografia densa di avvenimenti che negli anni ’20 del 1900 ci porta dalle zolfare siciliane e dai deserti libici ai ghiacciai dell’Alto Adige e più precisamente a Monteneve (Vipiteno) dove ad Ignazio Sanfilippo è affidata la gestione della miniera di piombo, argento e zinco più alta d’Europa (m.2370).
Ignazio Sanfilippo sarà infine protagonista di un’altra esplorazione scientifica in Libia su incarico del Governo Fascista negli anni dal 1929 al 1934, questa volta alla ricerca di fosfati ad uso fertilizzanti dei quali, in quegli anni di “battaglia del grano”, l’Italia era pesantemente dipendente dall’estero.
Questa Missione, condotta con mezzi ristrettissimi e senza un’adeguata attribuzione di risorse umane e materiali si concluderà con la scoperta di vasti giacimenti di minerali fosfatici. Al Sanfilippo fu riconosciuto il merito della sua importante scoperta libica alla quale però non poté seguire il relativo sfruttamento industriale.

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L’AUTORE
Vincenzo Ferrara è nato a Palermo nel 1948. Ha vissuto e lavorato per un importante Istituto di Credito (Banca Commerciale Italiana) a Palermo, Trapani, Genova, Milano, Toronto, Londra e Amsterdam.
In quest’ultima sede ha anche ricoperto la carica di Vice Presidente della Camera di Commercio Italiana per l’Olanda e di Vice Chairman della Foreing Banks Association.
Oggi vive fra Palermo, Toledo e la sua campagna di Casteltermini.