di Gianmarco Maotini
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Sicuramente ai molti il nome Giarabub (in arabo al-Jaghbūb ) non dice nulla, non ricorda nulla e difficilmente si ricorderanno particolari imprese militari associandole a questo nome e saranno ancora meno quelli che incontrovertibilmente, anche in maniera vaga potranno avere idea o memoria dei nomi, di alcuni protagonisti di questa avvincente storia, ennesimo fulgido esempio di eroismo italiano, finito purtroppo nel dimenticatoio troppo presto, insieme al suo protagonista principale, nonché artefice.
Andiamo pero, per ordine e con calma.
La città di Giarabub – sede anche dell’omonima oasi – è un piccolo centro che ubicato nella Libia orientale e precisamente nella regione della Cirenaica – una delle tre regioni dell’attuale Libia insieme alla Tripolitania e al Fezzan e che si estende in un’area di ben 820.000 km² che comprende, oltre che una parte di deserto libico, la Cirenaica storica e la Marmarica, confinando a nord con il mar Mediterraneo, ad est con l’Egitto, a sud con il Ciad e ad ovest con le già nominate altre due regioni della Tripolitania e del Fezzan – distante circa 290 km da Tobruch, 320 km a sud di Bardia e non molto distante dalla prima città egiziana dopo il confine Siwa, oasi anch’essa del deserto libico nel Governatorato egiziano di Matruh.
Abitata sin dai tempi antichi, questa oasi libica, trasuda ancora oggi di storia dell’antico – e confinante – Egitto in quanto nelle sue vicinanze sono state trovate diverse tombe scavate nella roccia, di cui molte delle quali conservavano mummie, segno della profonda influenza culturale e spirituale trasmessa da vicini egiziani.
L’oasi di Giarabub è famosa e conosciuta anche per il motivo che presso di essa si stabilirono importanti e influenti personalità politiche e spirituali arabe: dal fondatore della tariqa (confraternita islamica) dalla Sanussiyya Muḥammad ibn ῾Alī as-Sanūsī, il quale si stabili in loco a partire da 1856 fondando anche una scuola di studi coranici, al guerrigliero anti–italiano, eroe nazionale libico e Imam Omar al-Mukhtar che studiò per ben otto anni presso la scuola coranica di Alī as-Sanūsī, fino ad arrivare al Re Idris di Libia il quale vide la luce il 12 marzo 1889 proprio a Giarabub e dove per diverso tempo si trovava anche la tomba di suo nonno Muhammad ibn Ali al – Sanusi.

Foto aerea dell’oasi di Giarabub nel 1941
Questo luogo cosi ricco di storia e che vide presenti sul suo suolo alcuni tra i più influenti personalità libiche e arabe, divenne parte del Regno d’Italia nel 1926, dopo la cessione da parte dell’Egitto. Il protagonista di questa eroica resistenza, all’epoca dei fatti, ancora con il grado di maggiore, è Salvatore Castagna, un brillante ufficiale siciliano con alle spalle già una notevole esperienza sui campi di battaglia del Monte Civaron – dove giovanissimo ebbe il suo battesimo del fuoco e per il suo impeto la promozione sul campo a Tenente – e sul Monte Carso, luogo in cui per le sue azioni ardimentose ricevette una Medaglia d’argenteo al valor militare.
Finì la guerra in infermeria qualche giorno prima del termine ufficiale – 11 novembre 1918 – delle ostilità, per via di una ferita ricevuta mentre stava conducendo un azione militare sul Monte Grappa.
Terminata la guerra, rimasto nell’Esercito parteciperà prima alla riconquista della Tripolitania nei “Cacciatori d’Africa” e per poi tornarci con nuovo incarico al rango di Maggiore, nel 1937 quando venne destinato prima a Iefren, poi a Bardia e infine a Giarabub nel 1940 dove fu travolto dal corso degli eventi bellici, in quanto era iniziato il secondo conflitto bellico.

Il Generale Salvatore Castagna
Qui, in questa landa desolata del deserto libico il Maggiore Castagna entra nella storia insieme ai suoi uomini per coraggio e tenacia davanti ad un nemico molto più organizzato e numericamente superiore per mezzi e uomini. Al dicembre del 1940 a difesa dell’oasi di Giarabub da parte italiana erano schierati al comando del Maggiore Castagna 1.350 soldati regolari del Regio Esercito e tra i 750 e gli 800 soldati libici, suddivisi in quattro compagnie, tra genieri, fanteria e guardie di frontiera. All’interno della cittadella vi erano inoltre, un ospedale da campo, una sezione di rifornimento e un’unità di segnalazione. Sulle difese campali, gli italiani potevano contare invece su un buon numero di bocche di fuoco, cosi suddivise: una compagnia di artiglieria con 14 cannoni 47/32 Mod 35 chiamati “Elefantino”, un’ottima arma d’accompagnamento per la fanteria e utile contro mezzi blindati, 4 cannoni 77/28 Mod 5, 16 cannoni – mitragliere da 20/77 con munizioni 20X138 mm B, 56 mitragliatrici da campo.
Quanto a difese esterne, considerando la posizione in campo aperte e in pieno deserto dalla cittadella, si era provveduto a costruire trincee, fossati anticarro, posti di osservazione ed altre opere campali di vario genere; la ridotta Marcucci – opera del conflitto italo-turco – venne considerata troppo vulnerabile e quindi sgomberata.
In quel settore contro gli italiani, erano state dislocate dai comandi alleati le truppe australiane in forza alla Western Desert Force al comando del Generale di Brigata australiano George Wotten comandante della 18° Brigata di fanteria australiana (inquadrata nella 6°Divisione), composte dallo Squadrone B del 6° Reggimento di Cavalleria australiano e dal 9° Battaglione di fanteria, entrambi inquadrati nella 6a Divisione australiana con a disposizione alcuni carri leggeri Vickers Mark E da 7,3 tonnellate, (cingolati per trasporto truppe o trattore d’artiglieria per cannoni di piccolo e medio calibro) Bren Gun Carrier da 3,75 tonnellate e armate con mitragliatrice Vickers o Bren da 7,7 mm o fucile anticarro Boys e con 15 autocarri da 750 kg e altri 30 da 1.500 kg.
L’8 dicembre gli inglesi ai comandi dei Generali Archibald Wavell, Henry Maitald Wilson e Richard O’Connor, lanciarono una pesante controffensiva su Sidi El Barrani, ma che per via di una serie di motivi, (a partire dalla sottovalutazione italiana dell’attacco, che fu scambiato inizialmente per un’esercitazione inglese, si per il fatto che praticamente tutti le unità di fanteria britanniche fossero completamente motorizzate e da una disordinata ritirata italiana) alla fine coinvolse tutta la Tripolitania con le forze italiane che furono costrette al disimpegno su nuove posizioni.
L’unico presidio che riusci ad assorbire e resistere a questa onda d’urto fu proprio la cittadella di Giarabub comandata dal Maggiore Castagna che resisteva eroicamente a tutti gli attacchi che subiva. Ovviamente, però gli australiani avendo capito che ormai il presidio era totalmente isolato, con la linea del fronte italiana che dopo l’offensiva si trovava ora in linea d’aria a circa 700 km da li, iniziarono ad intensificare gli attacchi in particolare sulle linee di rifornimento che dopo l’inizio dell’operazione Compass erano totalmente bloccate, a parte il rifornimento aereo, che però non durò molto, in quanto nonostante i tentavi della Regia Aeronautica di rifornire l’oasi, il 9 gennaio del 1941 gli inglesi con dei cannoni da campo Ordnance QF 25 con un calibro da 87,6 mm, bombardarono la pista di Giarabub rendendola inoperativa e distruggendo anche un aereo.
Subito l’assedio dalla parte italiana per la carenza di rifornimento e l’obbligo di razionamento delle scorte, si indurì ancora di più con ormai le razioni giornaliere ridotte a mezza scatoletta di carne e ottanta grammi di gallette. Nonostante ciò la spirito degli italiani – grazie soprattutto al carisma del Maggiore Castagna – era molto forte e tutti erano determinati ad andare avanti e a non arrendersi, neanche davanti alle richieste australiane sempre più insistenti, con lanci di volantini, che illustravano la situazione ormai precipitata per gli italiani, la completa occupazione della Tripolitania da parte inglese e la cattura di circa 150.000 prigionieri. Ma nemmeno questa classica tattica di guerra psicologica scalfì minimamente l’onore e la determinazione del Maggiore Castagna e dei suoi uomini. Nonostante questa incredibile dimostrazione di coraggio e di fedeltà alla Patria, Castagna è comunque perfettamente consapevole della situazione irreversibile a livello tattico in cui si trova, essendo circondato da tutti i lati e tagliato fuori da linee di rifornimento e avanguardie italiane. Decide così in maniera schietta, dato che non voleva assolutamente portare i suoi soldati incontro alla morte, di lasciar decidere liberamente a tutti loro e senza vincoli se restare a combattere oppure arrendersi. In maniera incredibile, tutti i soldati, compresi i mutilati, i feriti con le stampelle, con un gesto eroico e dannatamente deciso e risoluto, decidono tutti di continuare la impari lotta e per dare forza alla loro decisione con i fatti bruciano tutti i loro fazzoletti bianchi, in modo tale che nessuno potrà arrendersi, entrando di fatto nella leggenda!
Il Maggiore Castagna a questo punto, sospinto dell’ardimento dei suoi soldati lancia un ultimo disperato attacco verso le postazioni, britanniche lasciando di stucco gli stessi soldati alleati che non possono far altro che ammirare una delle qualità che ha sempre contraddistinto molte nostre personalità militari e non, il coraggio e la fedeltà alla parola data. Ma siamo sempre in guerra, e i sentimenti si mettono subito da parte. Infatti subito cominciano a piovere sui nostri soldati piogge di bombe di mortai, che ne decimano e bloccano subito lo slancio e l’impeto, lasciando sul campo più di 250 morti e con 1.300 soldati che verranno catturati. Lo stesso Tenente Colonnello Castagna (era stato promosso qualche giorno prima della fine della battaglia) verrà ferito alla testa da una bomba, con il suo fedelissimo portaordini Orazio Barbagallo, che aveva cercato di fare da scudo con il suo corpo vedendo la traiettoria della granata. Dopo poco anche il resto dei soldati ancora vivi si arrese. Entrambi gravemente feriti, porteranno la pelle “a casa” o meglio, al campo di prigionia, perchè nel Belpaese il Tenente Colonnello Salvatore Castagna ci tornerà anni dopo il 23 novembre 1946, dopo anni di umiliante e dura prigionia in Palestina e India. In Italia si seppe qualcosa di questi avvenimenti tramite il bollettino 288 del 22 marzo 1941 e anche se il bollettino era molto sintetico, fu l’inizio della leggenda, dell’uomo che con un pugno di uomini tenne in scacco per mesi gli inglesi e gli australiani, tanto che nelle loro radio era definito “Giarabub’s man”.
In Italia subito la sua vicenda ebbe un eco e una risonanza incredibile, tanto che le stazioni EIAR inizieranno a trasmettere la una canzone che diventerà celebre, dal titolo “La sagra di Giarabub” con musica di Mario Ruccione e non finì qui, in quanto venne prodotto anche un famosissimo film nel 1942 , dal titolo “Giarabub” con regia di Goffredo Alessandrini, con un giovane Alberto Sordi e con Dorsi Duranti.
Purtroppo appena dopo il rientro dell’eroe Salvatore Castagna, la sua impresa, come spesso accade vergognosamente in Italia si spense piano, piano fino a cancellarsi dalla memoria collettiva, tanto che oggi la conoscono davvero in un numero esiguo di persone. Solo gli inglesi continueranno a rispettare e onorare quel pugno di uomini che per nessuna ragione al mondo si arrese e gli diede filo da torcere insieme al loro Comandante. Un altro atto di eroismo italiano, finito nel tritacarne di chi riesce solo a dipingere l’esercito italiano come inadatto, impreparato, scarsamente motivato e comandato da uomini miopi e inadatti. Il Generale Salvatore Castagna, come tanti altri che furono travolti in quegli anni dal corso degli eventi ne sono la plastica e nitida testimonianza e dimostrazione delle storie di eroismo italiano.
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