Mostra delle Terre d’Oltremare di Napoli

Mostra triennale delle terre italiane d’OltremareLa Mostra triennale delle terre italiane d’Oltremare fu ideata per celebrare le terre d’oltremare e il destino dell’Italia sul mare. Mussolini ne affidò l’organizzazione a Napoli strategicamente ubicata al centro del Mediterraneo, “Porto imperiale, della Roma antica” e quindi considerata punto di partenza ideale per una politica coloniale. La Triennale rientrava in un progetto complessivo in cui si puntava al turismo ed al commercio per lo sviluppo della città che poteva contare su notevoli risorse naturali e culturali. L’idea della Mostra era venuta nel 1937, un anno dopo la fondazione dell’Impero con la conquista dell’Abissinia. Commissario designato per l’Ente Mostra d’Oltremare fu l’ufficiale De Rubeis con il quale si dava inizio al lungo iter progettuale che vide, tra l’altro, l’accendersi di un ampio dibattito sulla scelta del sito su cui edificare la nuova grande iniziativa. Dopo le inevitabili vivaci discussioni, fu scelta la Conca Flegrea – tra Bagnoli e Fuorigrotta – che, per la configurazione pianeggiante, la vicinanza al mare e alle zone archeologiche di Cuma e Averno poteva assolvere meglio di qualunque altra alla funzione di polo turistico e commerciale. La zona, infatti, oltre alla notevole disponibilità di spazi liberi, contava sulla presenza della metropolitana della Società Laziale che avrebbe garantito l’accessibilità del sito e, inoltre, l’intervento a Fuorigrotta si andava ad inserire in un contesto che aveva già una forte vocazione turistica vista la vicinanza con la Terme di Agnano, le stazioni balneari di Bagnoli, Pozzuoli e Lucrino e con le zone archeologiche dei Campi Flegrei. Particolare questo non insignificante, dal momento che colloca storicamente il progetto nell’ambito del più ampio programma di rilancio della città riassunto in 5 punti che Mussolini, con lo slogan “Napoli deve vivere”, aveva elencato nel 1931 ai cittadini napoletani: “Agricoltura, Navigazione, Industria, Artigianato, Turismo”.

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La redazione del piano generale fu affidata a Marcello Canino mentre i singoli episodi architettonici furono affidati a giovani architetti napoletani. Capo dell’organizzazione e commissario generale governativo era Vincenzo Tecchio. Per raggiungere l’obiettivo si ritenne necessaria la bonifica radicale del territorio. Il risanamento iniziò, in nome del duce, la mattina del 30 gennaio 1939, col primo colpo di piccone dato ai vecchi fabbricati del rione Castellana. Sugli steccati che recingevano gli edifici in demolizione si leggeva: “La parola a S. M. il piccone”. Furono abbattuti 7.000 vani e 15.000 persone, sulle 39.000 che ne contava allora il rione, si ritrovarono improvvisamente senza un alloggio; non era stata prevista alcuna sistemazione sostitutiva.

triennale_oltremare_napoli_piazzale_1940Il nuovo progetto interessava un’area di 850.000 mq., il sistema stradale era basato sulle due gallerie, una destinata al traffico veloce, l’altra al traffico pesante. Dalla nuova piazza del Littorio, all’uscita della prima galleria, iniziava un rettilineo a doppia corsia con spartitraffico alberato che giungeva al grande piazzale dell’Impero, dove si apriva l’ingresso al recinto della Mostra.

Ai collegamenti con Posillipo provvedeva anche una funivia. La Mostra d’Oltremare era impostata su due assi ortogonali: quello longitudinale, segnato dalla disposizione delle architetture poste a fare da sfondo alle visuali prospettiche; il secondo asse invece venne progettato fin dall’inizio per essere il “Parco Verde” della Mostra. Nel punto di convergenza tra i due assi venne posta la Torre delle Nazioni. L’asse verde era visualizzato dalla grande Fontana dell’Esedra, progettata nel 1938 dagli Architetti Carlo Cocchia e Luigi Piccinato e che voleva rappresentare l’armonia fra architettura, opere artistiche, verde, acque, luci e suoni, con cui il parco si riconnetteva al paesaggio circostante, in particolare con le alture delle colline, L’asse verde divideva in due parti la Mostra; in quella a valle prevaleva il carattere monumentale mentre in quella a monte prendeva il sopravvento l’aspetto verde.

Anche nella zona monumentale, comunque, il verde giocava un ruolo importante come ad esempio nella Piazza dell’Impero, posta all’ingresso della Fiera, con la pavimentazione costituita dai tappeti di prato erboso ed i corsi d’acqua che definivano i percorsi e le direzioni principali e che sottendevano alla trama ortogonale sulla quale poi erano posti i singoli episodi monumentali. Sull’asse monumentale si trovavano la Piazza dell’Impero con il Teatro Mediterraneo e la poderosa Torre delle Nazioni: piazza che costituiva il centro monumentale della Mostra. La struttura era destinata ad un tipo di viabilità essenzialmente pedonale per cui la Fiera pur avendo gli aspetti di un impianto urbano, nel suo insieme tendeva a configurarsi come un grande parco, l’unico sorto a Napoli dopo i Borboni.

triennale_oltremare_napoli_piazzale_1940 (2)La realizzazione della Mostra influenzò tutto l’ambiente urbano intorno, fu demolito il vecchio casale di Fuorigrotta, fu realizzato il Viale Augusto, una strada a due carreggiate separate da una larga aiuola centrale con palme e pini, una strada con andamento curvo per evitare l’arrivo frontale nella piazza d’ingresso alla Mostra. Fu demolito il teatro “Excelsior”, il famoso teatro di don Achille Ciciriello, in cui gli spettatori, nelle sere di pioggia dovevano tenere gli ombrelli aperti, perché il tetto, coperto di lamiere, era pieno di crepe. Vi si assisteva ad ogni genere di spettacolo: operette liriche, riviste, sceneggiate, filodrammatiche, circo equestre e vi avevano recitato artisti affermati come Totò, Taranto, Parisi. A largo San Giovanni, tra via Canzanella Vecchia e l’inizio di via Consalvo fu demolito anche il teatro “Verdi”, popolare per l’opera dei pupi e fu abbattuta anche la vecchia piazza di Fuorigrotta con la parrocchia di San Vitale: la vecchia Fuorigrotta era scomparsa totalmente!

Per costruire la Mostra ci vollero solo sedici mesi: realizzata su 1.200.000 mq, conteneva 36 padiglioni espositivi, un palazzo degli uffici, un’arena all’aperto per 12.000 persone (Arena Flegrea), due teatri (Teatro Mediterraneo, Teatro dei Piccoli), una piscina olimpionica, ristoranti, bar, un parco faunistico e un parco divertimenti, acquario tropicale, serre tropicali e una zona archeologica di epoca romana. Concepita come “Architettura del verde”, la Mostra si configurava come un ambiente pittoresco che oggi può essere considerato come un episodio significativo di convivenza delle diverse anime architettoniche ed artistiche dell’epoca. Il colossale progetto ornamentale, realizzato ad integrazione delle architetture, presentò aspetti innovativi e contraddittori, in quanto fu proprio il vasto repertorio di carattere provvisorio indicato dalla propaganda e dall’impianto fieristico a risultare di avanguardia rispetto alle opere d’arte vere e proprie, assumendo un ruolo primario di omologazione con gli spazi dell’intera struttura.

triennale_oltremare_napoli_piazzale_libia-egeo_1940L’imponente opera, voluta dal regime per ospitare gli scambi commerciali con l’Africa e gli altri paesi del Mediterraneo, fu inaugurata il 9 maggio 1940 dal re Vittorio Emanuele III come Prima Mostra Triennale delle Terre Italiane d’Oltremare. Purtroppo, dopo poco tempo, lo scoppio della guerra e gli eventi che seguirono segnarono pesantemente la Fiera: dal 1942 al 1943 fu occupata dai tedeschi e in seguito dagli americani; alla partenza delle truppe alleate fecero seguito devastazioni ed atti vandalici, per cui a fine guerra circa il 60 % delle strutture erano distrutte.

Negli anni ’50 furono necessari dei lavori di ricostruzione che in parte modificarono l’aspetto originario della Mostra. Nel dopoguerra fu quindi necessaria una lunga opera di ricostruzione, al termine della quale, precisamente nel maggio del 1952, si ebbe una nuova apertura con la Mostra d’Oltremare e del Lavoro Italiano nel Mondo. Dagli anni ’60 in poi le aree della Mostra furono utilizzate quasi esclusivamente come quartiere fieristico, ospitando peraltro manifestazioni di non sempre elevata qualità. La generale incuria delle aree a verde, il degrado di numerosi edifici, nonché i danni provocati dall’occupazione di alcuni suoli per ospitare i container dei terremotati del 1980, contribuirono al degrado della Mostra, negandone la piena godibilità.

triennale_oltremare_napoli_barrivieraDal novembre 1998 s’è dato inizio al processo di aziendalizzazione dell’ex Ente (che, a seguito di trasformazione giuridica in ottemperanza alla Legge Bassanini, è divenuto Mostra d’Oltremare s.p.a. dal 16 gennaio 2001) ed è stato avviato con successo un progetto di tutela, riqualificazione e valorizzazione del patrimonio architettonico, culturale ed ambientale. La mission della Mostra d’Oltremare è oggi quella di parco urbano polifunzionale con un ruolo di attore protagonista nel processo di sviluppo economico e culturale dell’area flegrea, della città di Napoli e della Regione Campania, coniugando la valorizzazione del proprio patrimonio architettonico, artistico, ambientale e storico con il conseguimento dell’equilibrio economico finanziario.

Oggi, il parco è in grado di offrire una varietà di soluzioni per le molteplici attività su elencate; segnatamente, per quelle culturali e del tempo libero, sono state già recuperate e rese fruibili alcune strutture ed aree a verde (padiglione America Latina, Giardino dei Cedri, Laghetto di Fasilides, Strada Romana, Arena Flegrea, Piscina Olimpionica con solarium, piscina coperta e palestra, ecc.) ormai divenute location di prestigio per eventi artistici, musicali e sportivi. Nell’ambito della suddetta strategia si inserisce il progetto di restauro e rifunzionalizzazione della Fontana dell’Esedra, che rappresenta così un’altra delle tappe compiute dalla Mostra d’Oltremare per la valorizzazione del proprio territorio nell’ambito delle attività del tempo libero.

triennale_oltremare_napoli_fontana-esedraL’impianto, attualmente, sorge all’interno di una vera e propria oasi di tranquillità, circondata da alberi di alto fusto tipici del mediterraneo e delle “terre d’oltremare”. Il restauro della Fontana dell’Esedra è stato effettuato nel rispetto del progetto originario (come peraltro quello di tutte le strutture di pregio e delle aree a verde della Mostra realizzato dal 1999 ad oggi). L’impianto, quindi, torna a riflettere oggi l’originaria impostazione progettuale, secondo la quale il verde e l’acqua servivano a sottolineare le potenzialità architettoniche e le relazioni fra gli elementi. L’imponente Fontana dell’Esedra è lunga circa 350 metri ed è costituita da un grande bacino rettangolare, da 12 vasche a cascata adagiate su altrettanti terrazzamenti e fiancheggiate da 24 fontane circolari ripartite simmetricamente ed ubicate ad intervalli regolari, e da un’esedra composta da 76 vasche trapezoidali, decorate con maioliche (opera dell’artista G. Macedonio) di notevole pregio artistico con raffigurazioni naturalistiche di vegetazione, animali e gruppi di uomini e donne. La collina retrostante e la corona di pini che circonda e racchiude l’intera Fontana contribuiscono ad esaltare la monumentalità dell’opera.

Nella Triennale delle Terre Italiane d’Oltremare era stato previsto anche un settore geografico di cui il più interessante era sicuramente quello dedicato all’Africa Orientale italiana, il più importante possedimento coloniale. Il concorso nazionale di progettazione fu vinto nel 1940 dal gruppo di architetti composto da Mario Zanetti, Luigi Racheli e Paolo Zella Milillo. Il settore espositivo comprendeva, oltre all’edificio del Salone dell’Impero comunemente detto “Cubo d’Oro”, sette padiglioni, funzionali alla rappresentazione di ognuno dei paesi membri dell’A.O.I. (Africa Orientale Italiana), che erano composti da Eritrea, Somalia, Harar, Hamar, Galla e Sidama, Scioa. Venne anche realizzato il villaggio indigeno che comprendeva un laghetto nel cui centro venne ricostruito il Bagno di Fasilides; con materiali fatti arrivare dall’Etiopia venne ricostruito un villaggio abissino con i suoi elementi tipici: una chiesa copta, il posto di polizia ed una serie di tucul e ghebbì in cui delle famiglie indigene producevano degli oggetti artigianali tipici. La zona venne bombardata durante la seconda guerra mondiale fu ricostruita negli anni Cinquanta su progetto di Giulio De Luca e venne anche ricostruito e risistemato il laghetto con il Bagno di Fasilides che era stato quasi completamente distrutto da una bomba.

Cubo d’Oro_NapoliDel complesso espositivo originario restano attualmente in piedi il cosiddetto Cubo d’Oro e il laghetto con il Bagno di Fasilides. Il Cubo d’Oro, costruito con una struttura portante in cemento armato, è di forma cubica e all’esterno si configura come un volume pressoché pieno per la mancanza di bucature per cui esso si presenta come una sorta di enorme scultura, anche in virtù della sua particolare decorazione. Alla base il cubo scandito da una serie di pilastri ricoperti in pietrarsa fra cui si collocano una serie di aperture rettangolari chiuse da grandi vetrate dotate di infissi. Tutta la superficie esterna del Cubo è interamente ricoperta da un rivestimento a mosaico dorato, il cui disegno segue una particolare trama geometrica ispirata alle decorazioni delle architetture di Axum in Etiopia; la decorazione si dispone all’interno di un disegno geometrico che scandisce il prospetto del Cubo in sette fasce verticali, ed è composto da una serie di linee verticali e orizzontali giustapposte, unitamente ad elementi circolari che ricorrono su tutti i lati dell’edificio evidenziandone il suo valore di architettura rappresentativa.

All’interno il Cubo presenta un grande salone che corrisponde all’intero volume dell’edificio, il pavimento è in marmo bianco e al centro si nota una lacuna di forma quadrata dove originariamente era posto un enorme mappamondo a mosaico. Le pareti erano affrescate e recavano una serie di iscrizioni celebrative; fra gli affreschi ricordiamo quello che raffigurava il “Trionfo Romano” del pittore Brancaccio.

All’esterno del Cubo, oggi, sono visibili i restauri effettuati con altre tessere diverse per forma e per colore e che acquistano una penosa evidenza. Adiacente al Cubo d’Oro è il laghetto con il Bagno di Fasilides che dopo anni di abbandono e di usi improvvidi è stato ultimamente risistemato. Il Cubo d’Oro, posto in un angolo del parco in solitario abbandono, perso il suo carattere celebrativo originario, è diventato una sorta di rovina romantica e suggestiva.

di Vito Zita – © Tutti i diritti riservati

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