Le concessioni petrolifere alla base dell’instabilità della Somalia

Un po’ di storia. Lungo le coste della Migiurtina, regione della Somalia nel nord affacciante sull’Oceano Indiano, esisteva in un passato coloniale quasi dimenticato un nucleo vitale: la penisola di Hafun, chiamata anche Dante. A Dante l’Italia aveva creato un complesso di saline, che all’epoca furono le più grandi del mondo. Ma con la guerra il complesso industriale cessò di funzionare ed oggi non è sopravvissuto quasi nulla.
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Scarico di materiale dell'ENI. Somalia
Lungo quella stessa costa, un poco più a sud, vi è il villaggio di Bender Beila, nato ai piedi di un costone roccioso e sotto il piccolo promontorio di Ras Mabber, nato per la pesca, ma che dall’autunno del 1955 si sviluppò quando sulle sue spiagge giunsero dall’Italia la nave da carico “Sileno” e il mezzo da sbarco “Moc” che iniziarono a depositare circa tremila tonnellate di materiali su quella costa. Le operazioni di sbarco avvennero nelle poche settimane di calma fra il monsone di sud-ovest e quello di nord-est, quello che i somali chiamano tangabili.
Tecnici italiani e mano d’opera somala aprirono una nuova strada su cui transitarono materiali verso l’altipiano interno. Altri materiali giunsero da Mogadiscio su autocarri. In pochi giorni sorse nei pressi di Sagaleh, a 20 km da Bender Beila, il campo “Cotton”: capanne, baracche, un bar, un piccolo cinema, grandi depositi, un cantiere e soprattutto una torre di perforazione. L’Italia stava cercando il petrolio in Somalia.
A 33 km da Sagaleh, nella zona desertica di Cotton, la “Mineraria Somala”, una filiazione della italianissima “Agip Mineraria”, creò un secondo campo, dove venne installato un altro pozzo di perforazione.
Fra Sagaleh e Cotton lavoravano circa quaranta italiani e un centinaio di somali, diretti dal geologo Vittorio Fois.
Ottobre 1953 - Eni Agip avvia l_esplorazione all_estero effettuando le prime ricerche in Somalia.La regione venne sottoposta al vaglio dei petrolieri che per le ricerche facevano esplodere in profondità cariche di dinamite disposte a intervalli regolari, lungo linee stabilite. A questo scopo percorsero il deserto della Migiurtinia grandi caterpillar che trasportavano i tecnici, gli uomini, gli esplosivi, e che con i loro cingoli lasciarono a terra l’apparente traccia della un strada, insieme a centinaia di piccoli “foruncoli” causati dalle deflagrazioni di dinamite. Segni ancora oggi ben visibili nelle immagini satellitari.
Era sin dagli anni ’30 che i petrolieri avevano buttato lo sguardo sulla Migiurtinia, perché si tratta della naturale continuazione della penisola arabica ricca di idrocarburi. La prima missione dell’Agip, quaggiù, ebbe luogo nel 1937 e servì soprattutto per il riconoscimento stratigrafico delle serie geologiche affioranti. Fra il 1953 e il 1954 si svolse la missione della «Mineraria Somala», diretta da Vittorio Fois, che studiò le caratteristiche strutturali della fascia migiurtina costiera.
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Vista satellitare di oggi della piana di Sagaleh con i segni dei sondaggi del 1953 della Agip Mineraria
Per eseguire più dettagliatamente certe ricognizioni venne utilizzato anche un elicottero che registrò centinaia di ore di volo.
Il primo sondaggio ebbe luogo nella piana di Sagaleh, durò dieci mesi, dal gennaio al novembre 1956. Il sondaggio mise a disposizione degli specialisti tutti i campioni del sottosuolo sino alla profondità di 3.600 metri. Il 2 settembre 1957 si passò al secondo sondaggio esplorativo, quello del campo Cotton, che chiuse la prima fase delle ricerche.
La seconda fase avrebbe dovuto cercare direttamente il petrolio. Vennero in tutto realizzati quattro pozzi: Sagaleh 1, Cotton 1, Darin 1 e Jordijo 1.
cofIl sottosuolo della Somalia, uno dei paesi più poveri e pericolosi del mondo, nasconde oltre al petrolio anche uranio, tungsteno e giacimenti di gas, non per nulla proprio quest’anno il nuovo Presidente “Farmajo” ha nominato premier il 49enne Hassan Ali Kheyre, ex dirigente della controversa azienda petrolifera britannica Soma Oil & Gas sulla quale l’ufficio britannico per le frodi solo a dicembre ha chiuso, per mancanza di prove, un’indagine per accusa di tangenti.
Questi preziosi giacimenti erano stati riscoperti verso la fine degli anni Ottanta dal regime di Siad Barre ma la guerra civile scoppiata nel 1991 impedì le operazioni di esplorazione per il futuro sfruttamento degli idrocarburi somali.
Ma la Somalia non custodisce solo giacimenti sotto terra ma anche nelle acque lungo le coste del paese. Non esistono ancora stime esatte sulla quantità delle riserve ma tutti i geologi e le multinazionali petrolifere concordano sul fatto che le acque territoriali somale serbino petrolio per circa 110 miliardi di barili (l’Arabia Saudita primo esportatore di petrolio al mondo ha 266 miliardi di barili di riserve provate). Se tutto venisse confermato sarebbero importanti riserve capaci di accelerare il processo di ricostruzione del paese da un lato ma che dall’altra invece sarebbero portatrici di ulteriore fonte di instabilità.
Da anni infatti Somalia e Kenya hanno un contenzioso marittimo, per circa 100 mila chilometri quadrati di mare ricco di petrolio e gas, portato nel luglio 2014 davanti alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja.
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Confini-marittimi-contestati-Somalia-Kenya
La Somalia sostiene che il confine marittimo debba proseguire seconda quello terrestre in linea retta e, quindi, in direzione sud-est, mentre il Kenya sostiene che il confine marittimo debba essere perpendicolare alla costa e, quindi, viaggiare su una direttrice più spostata in alto, verso est.
La Somalia infatti sin dall’ottobre 2014 aveva annunciato che intendeva iniziare la produzione di petrolio e gas da giacimenti off-shore entro i prossimi sei anni. La dichiarazione avvenne a Londra durante la Conferenza sull’Oil &Gas in Somalia, quando l’allora ministro del Petrolio Daud Mohamed Omar, precisò che il governo aveva già avviato i colloqui con i governi dei singoli stati somali su come dividere i proventi del petrolio.
Il governo norvegese sta infatti facendo pressioni da anni sulla Somalia affinché venga adottata una Zona Economica Esclusiva (EEZ) sulla costa dove ha evidenti forti interessi commerciali, ostacolati però dalle dispute interstatali tra Kenya e Somalia per il fondale marino.
Puntland-Somalia_Mineral-Petroleum_ConcessionMa non solo giacimenti nel sud. Il 17 gennaio 2012 la Horn Petroleum, società controllata dalla canadese Africa Oil Corp., aveva iniziato ufficialmente le trivellazioni nel Puntland, più precisamente nella valle del Darror, con il pozzo Shabeel-1, ad una profondità di 3.800 metri dove si trova il petrolio, stimato in 300 milioni di barili. Si ritiene che i giacimenti del Puntland ne possano contenere sino a 6 miliardi. Ma l’esplorazione petrolifera nel Puntland aveva avuto inizio già nel 2005 e vede coinvolta, oltre l’Africa Corp. Oil, anche l’australiana Range Resources, proprietaria al 50,1% dei diritti di concessione nei blocchi di Darror e Nogal.
Da aprile 2013 la compagnia petrolifera norvegese DNO ha acquistato in Somaliland diritti esclusivi di esplorazione su una zona di 1.200 kmq. Molte sono le compagnie che stanno cercando di accaparrarsi le autorizzazioni del governo somalo per esplorare il territorio ma in Somalia una legge sul petrolio ad oggi non è ancora stata approvata e la tensione tra i diversi centri di potere è in crescita. Il governo centrale di Mogadiscio insiste per avere l’esclusiva sulle decisioni riguardanti le risorse naturali, mentre gli stati regionali semi autonomi del Puntland e del Somaliland stanno rilasciando permessi esclusivi di esplorazione a compagnie straniere. Le controversie che necessariamente ne deriverano stanno peggiorando il già precario equilibrio di potere tra regioni e governo centrale.
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Compagnie straniere come la norvegese DNO e Africa Oil Corp. si trovano infatti a lavorare in zone contese, protette da gruppi armati regionali che si scontrano con la sicurezza regionale per proteggere gli interessi di compagnie petrolifere occidentali.
Ma facciamo un ulteriore passo indietro per completare il panorama.
Un sondaggio del 1991 della Banca Mondiale calcolò che il potenziale petrolifero della Somalia era di circa dieci milioni di tonnellate l’anno.
In piena guerra civile infatti l’americana Conoco, presente in Somalia dal 1986, manteneva a Mogadiscio un intero staff che non ha mai avuto problemi grazie alle laute royalties versate al generale Aidid, padrone di quell’area, per tramite del suo finanziere Osman Ato (poi ricercato dall’Onu) da anni sul libro paga della Conoco. L’ambasciatore americano Oakley non fece mai mistero che ci fosse un rapporto privilegiato degli Usa con Aidid, ma in pochi mesi il generale passò dall’essere socio d’affari privilegiato degli Usa al ricercato numero uno con tanto di taglia sulla sua testa. Il feeling si spezzò proprio a causa delle concessioni petrolifere, quando la Conoco non più certa della supremazia di Aidid sugli altri capi clan puntò allora sul suo nemico, Ali Mahdi, firmando un nuovo accordo di esclusiva delle concessioni petrolifere “a guerra finita”. Schiacciato militarmente dalle presenza dell’Onu nelle regioni un tempo sotto il suo controllo, emarginato politicamente e tradito dagli americani Aidid lasciò quindi mano libera alle sue milizie. Quello che ne seguì è storia e ne fece le spese tutto il contingente Unosom.
In Somalia, quindi ogni scoperta di risorse nel sottosuolo si sta rivelando più una maledizione per il paese che una fonte di reddito e ci spiega, forse, l’attuale continua instabilità del paese che stenta ad uscire da una crisi epocale che lo colloca in testa nella triste classifica dei paesi più pericolosi al mondo come da recenti analisi dell’ACLED.
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di © Alberto Alpozzi  – Tutti i diritti riservati
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GALLERIA FOTOGRAFICA “AGIP MINERARIA” IN SOMALIA NEL 1953

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